E' di gran moda lo "scrivere autobiografico".... io lo trovo molto terapeutico.
Napoletana a coppe....
Premessa
L’importanza del gioco nella vita di ogni essere umano è fondamentale, soprattutto formativo per la personalità, questo non lo dico perché è uno dei miei ferri del mestiere di “maestra”, ma perché ho notato che la mancanza di questa pratica “in-lusoria” porta ad altri tipi di riempimento affettivo.
Questo libro è autobiografico, è un parto con un travaglio lungo; è un tentativo di ricordare i fatti miei per dedicarli alle nuove generazioni, con l’augurio di non dimenticare mai le proprie origini, di aver bene in mente da che gentes e da che partes si proviene.
L’importanza di conoscere, non la mappa cromosomica che aiuta nella salute, ma una mappa d’orientamento, in caso di “diritta via smarrita”, o meglio: quando “si perde la bussola”.
Non so perché mi viene così naturale pensare all’età bambina, ma sento il bisogno di mettere a fuoco alcune cose, non per tramandarle, ma per far sorridere e riempire di tenerezza i cuori di chi leggerà questo libro.
I luoghi e i personaggi sono diversi, ma l'universalità dei buoni sentimenti è certa in ognuno di noi. Il mio intento è proprio quello di suscitare la voglia e il bisogno di mettersi a riflettere sui propri ricordi, sulla bellezza della nostra memoria.
Uno dei paletti fermi e seri della mia infanzia è il gioco del “tresette”.....
Fino ai i dodici anni rimanevo incantata a guardare i 4 giocatori che per ore si accanivano dietro al gioco del tresette..... solo chi ci si trova invischiato può capire la passione per questo gioco. Io ero l’addetta a preparare il caffè, se qualcuno si alzava per un bisogno fisiologico.... allora si che scattava il mio turno di supplente, per il solo lasso di tempo necessario. Quanti pomeriggi, quante domeniche dopo il pranzo e quante serate pre-natalizie dedicate a questo gioco. La questione era seria, anzi serissima... in palio c’era di più di una torta gelato, se vincevi le quotazioni della tua autostima salivano alle stelle. Non era facile vincere con due mostri sacri come mio padre e mia sorella.....
naturalmente giocavano uno contro l’altro e gli altri due compari erano mio fratello e mio cognato. Se commettevi qualche “cavolata” allora ricevevi in premio un trofeo fatto di emozioni, sfottò proverbiali, risate a crepapelle e quella spensieratezza di cui tanto avevamo bisogno. Per anni sono stata convinta che il “tresette” è un gioco per paraculi; questa mia certezza deriva dal fatto che gli “ammiccamenti” e il linguaggio gestuale che si praticava per far capire le carte che avevi al tuo compare, ma soprattutto per depistare l’avversario, erano un vero e proprio alfabeto segreto, per impararlo ci volevano anni di praticantato. Quando mio padre si arrabbiava perché mio fratello Vincenzo sbagliava qualche mossa, o perché parlava troppo, gli lanciava degli improperi pieni di fantasia, tipo: “Se ti presenti in una bisca e non ti cacciano a calci in culo, ti assumono per pulire le sputacchiere.....”. Mo’ non è che mio padre aspirasse in un futuro da biscazziere per mio fratello, ma quando si gioca si entra in un mondo irreale, ci si trasforma e le regole di vita quotidiana non contano, nel tresette si vive una realtà parallela, fatta di onore, furbizia, scaltrezza e un tantinello di quella fortuna che sta li e che ti gira intorno ridacchiando alle tue spalle. Nel libro di Huizinga: “Homo Ludens” si legge “Nel gioco le regole della vita vera sono sospese, e questo permette di mettere alla prova scenari non ancora reali, come la caccia per un cucciolo di tigre, o l’amore vero nel gioco di sguardi di due persone che stanno costruendo un loro gioco, in cui mettere alla prova i propri sentimenti nella conoscenza dell’altro”.