martedì 27 ottobre 2009

Caro papà

Caro papà,
volevo pubblicare questa tua poesia in occasione del 150° dell'Italia nostra, ma in questi giorni mi è tornata tante volte in mente, soprattutto perchè mi vergogno vedendo  questo "bordello" che è diventata. Mi vergogno perchè io e tanti altri abbiamo permesso tutto questo, calpestando i vostri ideali e sacrifici. Tu che stavi in un paese straniero per lavorare, prendevi insulti dalla mattina alla sera, ti chiamavano italiano-Mussolini per farti sentire piccolo-piccolo, perchè la nostra storia è stata difficile da far digerire agli altri popoli. Tu, ti sei mai vergognato di essere italiano?  Mai. Hai scritto più di duecento poesie e la metà sono dedicate alla tua Patria, quanto amavi l'Italia! Tutta l'Italia;  ora cosa vedi papà? Cosa pensi di noi? Spero davvero che questo scempio non ti sfiori neanche da lontano, io cercherò di fare del mio meglio per proteggere i piccoli italiani a me affidati. Il senso di cittadinanza tanto sbandierato dalle riforme scolastiche, dovrebbero averlo ben impresso nelle menti questa specie di governanti-bordello-pidduisti-leghisti invece di imbrattare la nostra storia con le loro nefandezze. Scusa papà, eravamo un attimo distratti, ma vedrai che l'orgoglio per questa nostra Italia ritornerà, farà di nuovo parte della nostra vita. Voglio lasciarti con le parole di Giorgio Gaber, ridordi quanto mi piaceva?   "Abbiam fatto l'Europa, facciam ora l'Italia"......
 Magari in occasione del 150°?



Il mio paese

Se qualcuno mi dicesse: Dove sei nato?
Il cuore mi si riempirebbe allor di gioia.
M’invita a ricordar quel suolo amato
quel suolo al cui pensar, mi dà la vita.
Il mio paese, ha prati verdeggianti
dove vi sono fiumi con acque cristalline,
incantevoli panorami con meravigliosi tramonti
e pini profumati nelle colline.
Dalla Sicilia alle Alpi è tutto un bagliore
di una luce che brilla all’infinito,
la “zagara” profuma, lei dà l’amore
che, all’italico cuor mai è assopito.
E quei monti ammantati di purezza
fanno da cornice alla mia terra
rispecchiano l’anima nobile d’una razza
che ha illuminato il mondo di luce vera.
Italia è il nome del paese ove son nato
patria di geni e di eroi,
madre di tanti figli che al mondo hanno dato
gloria e vanto, conquistato al prezzo di tanti sudori.

Carlo Compagnoni, Australia 1971




3 commenti:

  1. Cara Flo, conoscevo la poesia di Neruda. Neruda appartiene alla mia giovinezza, ai primi amori vissuti con qualche apprensione ed insicurezza, alla consapevolezza della complessità dei nostri sentimenti.
    Morire lentamente. E' quello che molti uomini scelgono di fare, senza neanche saperlo, peraltro.
    Tristi. Senza curiosità. Senza domande. Senza verità da scoprire. Vittime della propria certezza, della propria inflessibilità, della propria precisione, del proprio ordine.

    Sono uomini che decidono di morire a poco a poco perchè non hanno un cuore che batte dentro di loro, perchè non hanno sogni e non guardano mai nè le nuvole nè il cielo nè le stelle.
    Lì dentro ci si può perdere, ma non si può morire.

    L'Italia.
    Floriana mia, hai scelto un argomento per me terribile. E lo hai trattato nel modo più difficile, per me.
    La poesia di tuo padre è vita pura. E' la verità. E' la verità dei suoi sentimenti più profondi.
    Come faccio a contraddire una verità dei sentimenti? A contraddire la verità di un poeta?

    Non sono in grado. Ma dentro di me sento la difficoltà di sentirmi parte di un popolo che ha tradito i propri sentimenti civili, che non sente più i vincoli che tengono unito un popolo.
    Che vincoli sono quelli che si sono sciolti?
    Sono valori comuni e condivisi. Di amore, rispetto, inclusione, condivisione... si. Ma non solo. Sono anche modi di vivere sentiti come comuni. Significa soffrire, sacrificarsi, oppure gioire e gloriarsi tutti insieme della stessa storia, quella passata o quella che si sta costruendo. Significa avere lo stesso sogno che rappresenta il mondo che si vuole costruire.

    Ma significa amare il proprio territorio, la propria terra, la propria gente. Questo lo capisco proprio bene. Quello, in realtà, dice la poesia di tuo padre. Di questo parla. Precisamente.
    Capisco benissimo cosa vuol dire amare le pietre della propria città, delle proprie strade. O il colore delle montagne, le sfumature del cielo, le forme degli appezzamenti di terra coltivati e sistemati più o meno ordinatamente nelle valli. O andarsene in giro per le strade, in mezzo alla gente e non sentirsi mai soli. Sentire negli sguardi e nella presenza dei passanti qualcosa di uguale a quello che c'è nei nostri occhi e dentro la nostra testa.

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  2. ... continua:

    Già. Ma oggi non la sento più questa sensazione. Per molte ragioni. Perchè sono emigrato dalla mia città. Mi sono, si, sistemato in una città meravigliosa ed inclusiva. Ma non è la mia città.
    Poi, la gente è cambiata. Sono tutti emigranti come me, in un certo qual modo. Tutti, ognuno, si sente straniero tra stranieri. Sente il fastidio, il peso, il disturbo dei propri vicini. Nessuno è più chiamato "il prossimo", nel senso di "amare il proprio prossimo". L'amore collettivo, la solidarietà è stata bandita dai rapporti fra gli abitanti delle città italiane, grandi piccole. Ed anche la terra, le pietre, il panorama, le piante, i monumenti, le cose per le quali tuo padre sospirava e scriveva versi, oggi per gli abitanti di queste desolate città sono solo una via per fare denaro, o, se non possono servire a tale scopo, sono un fastidio, un peso, un disturbo. Proprio come coloro che ti rubano il posto in autobus, in metro, ti stanno davanti nelle file negli uffici, o, peggio, ti attraversano la strada ed i semafori.
    A questo è ridotta l'Italia, oggi.
    File, semafori, traffico, folla, solitudini singole e di massa che si opprimono a vicenda e si sospingono come un autistico autoscontro.

    Povero papà tuo. Lui aveva la nostalgia nel cuore. Vedesse a cosa si è ridotto il suo paese.

    Ma in tutto questo panorama di tristezza, amica mia, c'è sempre qualcosa che è fuori posto. E quel fuori posto ci piace. Ci sono quelli, come te, per esempio, che non si sono adeguati. E non lo faranno mai.
    Hanno scelto di non morire a poco a poco.
    Ce ne sono parecchi. Io sono con quelli. Sono sparpagliati e non riescono a sentirsi unii. Ma sono pronti a darsi la mano. Appena se ne presenterà l'occasione. A tratti mi pare di sentire la tensione dei loro cuori e dei loro tendini, tesi, spasimanti.

    Gli altri, i rassegnati, i morti a poco a poco, hanno oggi il primo piano delle TV, i Grandi Fratelli in prima serata, le sfilate di moda...
    Ma il mondo è dei vivi.
    I morti sono passati.
    E loro non se ne sono neanche accorti. Pensano ancora di esserci, cara mia. Ma sono già passati. Finiti, spariti, consumati, sepolti, dimenticati.

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